sabato 13 dicembre 2014

Sons of Anarchy- Final Ride

La settimana che sta per chiudersi ha visto la fine definitiva della cavalcata dell'MC più famoso della televisione: i SAMCRO. Era il 2008 quando con le loro Harley hanno invaso gli schermi di mezzo mondo, ottenendo grande successo a livello di pubblico e di critica, nonostante lo snobismo delle cerimonie. Come avevo già detto in qualche post fa, non sono una fan della serie della prima ora. A dire il vero ho cominciato a guardarla la primavera scorsa, allineandomi poi con l'uscita della conclusiva stagione.

                                                   



Cosa dire...la settima stagione è cominciata a rilento. D'altronde sembra essere un po' il marchio di Sutter: partire col freno a mano alzato per poi accelerare vorticosamente verso la fine.
"Previously on Sons of Anarchy", Jax teneva tra le braccia una Tara uccisa brutalmente da una Gemma su di giri. Come al suo solito all'Ape Regina va tutto bene, grazie anche allo zampino di Juice che la protegge uccidendo lo sceriffo presente sulla scena dell'omicidio.
Per pararsi a vicenda, mettono in piedi la storia che a far fuori Tara sono stati i cinesi. Di conseguenza,  per metà stagione vediamo un Jax, accecato dalla rabbia e dalla sete di vendetta, mettere in atto un vero e proprio sterminio della razza cinese.
Il club è tutto con il proprio presidente, nessuno si prende la briga di dirgli che sta forse un po' esagerando e di fermarsi un attimo a pensare. No, tutti a far fuori quei poveretti dei musi gialli.
Nel frattempo, l'uomo che, date le premesse, sarebbe dovuto morire di cancro tipo nella prima stagione, Unser, è ancora vivo e vegeto e decide di tornare a fare il poliziotto, per scoprire chi è il vero assassino della sua amica Tara, sii credici...
A cambiare le cose e a far aprire gli occhi a Jax, ci pensa suo figlio Abel, che dall'alto dei suoi cinque/sei anni sembra essere un po' più sgamato di papà e di non credere tanto alle palle che gli racconta la nonnina.


Ci stiamo avvicinando alla fine della serie e improvvisamente Jax si rende conto che tutta la sua vita è stata basata su una serie di bugie, partorite da Gemma in nome del club e della famiglia.
Ritorna quindi il "principe" umano e per certi versi saggio che capisce cosa è giusto e sbagliato e agisce per rimediare ai danni provocati.

Analizzando le stagioni passate, avevo detto che la vita di Jax era stata influenzata da due eventi determinanti: il rapimento del figlio Abel e la tragica morte di Opie. Questo prima della scomparsa di Tara, che per lui ha sempre rappresentato uno spiraglio di luce, una sorta di grillo parlante che manteneva il suo lato umano. Lo si vede soprattutto della sesta stagione, quando, grazie a lei, si rende conto che può sperare di essere una brava persona e di assumersi le sue responsabilità.
Ora che sua moglie non c'è più, la sua capacità di ragionare è totalmente offuscata e non ha più nessuno che lo indirizzi verso la strada giusta. E', infatti, circondato da persone che gli vogliono sì bene, ma che non riescono ad avere lo stesso effetto positivo su di lui che esercitavano, invece, un Opie, una Tara e anche un padre seppur defunto. Ci sono Nero e Wendy, gli unici veramente intenzionati a vivere in onestà, ma le loro azioni sono influenzate e offuscate dall'amore e dalla voglia di accettazione. E poi c'è Gemma, l'ape regina, la Madre, forse il vero cattivo di tutta la serie. Alla fine si rende conto lei stessa delle conseguenze catastrofiche delle sue bugie: una guerra violenta e sanguinosa che ha comportato la morte di uno dei membri più "pesanti" (in tutti i sensi) del club, Bobby. Le bugie però hanno le gambe relativamente corte e il marcio di Charming viene a galla grazie a un bambino. Le parole di Abel sono come una sveglia per Jax, che sembra uscire dal torpore che lo avvolgeva e vedere il mondo con una luce diversa.



Grazie a questa epifania, ritorniamo a vedere, seppur brevemente, il Jackie Boy delle prime stagioni: un brav'uomo che convive con il suo lato criminale. Capisce allora di dover rimediare ai casini che ha combinato e in particolare, di dover onorare la volontà del padre e di sua moglie: garantire un futuro migliore per i suoi figli, lontani dalla criminalità e da Charming (anche se Abel sembra essere intenzionato a seguire le orme di papà). I cattivi devono scomparire e così Jax si trasforma in "the Reaper", la morte, e uccide coloro che vivono all'insegna dell'illegalità, della menzogna e della corruzione: sua madre Gemma, Barosky, Marks e lui stesso. I suoi piani sono chiari, vuole mettere tutto a posto e come dice alla Patterson: "the bad guys lose".
Jax si sacrifica, perfettamente consapevole dell'eredità del padre e se ne va serenamente, accogliendo il suo destino. La splendida canzone, scritta appositamente da Sutter, che accompagna gli ultimi momenti dell'Amleto su una Harley, racconta il suo viaggio dall'inizio fino alla fine.
Sutter non lascia nulla al caso e riempie la serie di simboli: i corvi (in inglese anche murder, come il titolo della canzone) aprono e chiudono la serie e possono essere visti come un invito a unirsi al club o la spiegazione che il destino di Jax fosse già scritto da subito; la barbona che si scopre essere una sorte di angelo della morte; il camionista Micheal Chiklis (protagonista di The Shields, la precedente serie di Sutter), una sorta di moderno Caronte che traghetta le anime di Gemma e Jax nell'aldilà.
Sutter ha rispettato l'opera di Shakespeare, conferendo "epicità" a quella che altrimenti sarebbe una semplice serie su un clan di motociclisti.
Tuttavia, nonostante sia una fan devota, devo avanzare delle critiche. Sons of Anarchy è durata sette anni e per forza di cose non poteva essere sempre di grande livello. Di conseguenza, è un bene che sia finita prima di cadere nel ridicolo, come ad esempio è successo a True Blood, anche se la sua qualità l'aveva persa molto presto. Il pregio è che Sutter sapeva fin da subito come terminare. In quest'ottica, ha mantenuto una certa linearità con la storia senza deviare più di tanto e aggiungere elementi paradossali. La sua caratteristica, già detta, quella di partire piano e di andare poi a mille verso la fine, gli ha un po' remato contro, rendendo alcune stagioni forse un po' troppo pesanti nella visione, in particolare le ultime due. La sesta è stata ricca di eventi significativi, ma la mancanza di azione e la sovrabbondanza di dialoghi l'ha resa un po' lenta e a tratti noiosa. La stessa cosa più o meno vale per la stagione conclusiva, che ha visto per la gran parte del tempo un Jax impazzito far fuori gente a destra e a manca senza un particolare sviluppo, per poi arrivare alla rivelazione quasi finale come un fulmine a ciel sereno. Questa "lentezza" ha impattato anche delle morti che dovevano essere particolarmente significative, come quella di Juice che da codardo che era, ha accetta il suo triste destino da signore, ma soprattutto quella di Gemma. Insomma, uno attende che la stronza crepi da sette stagioni e la si uccide in un modo così "dolce". Mi sarei aspettata che Jax gliene dicesse di ogni o chiedesse spiegazioni, insomma un minimo confronto. Io capisco che comunque le volesse ancora bene e che non riuscisse ad odiarla del tutto, però...
Un'altra cosa che mi è sembrata un po' ridicola e che non mi ha fatto apprezzare al 100% il finale è stato l'inseguimento della polizia. Per carità, gli ultimi minuti sono bellissimi e sono accompagnati da una splendida canzone da giorni in loop a casa mia. Il fatto è che vedere per tutto questo tempo un esercito di poliziotti inseguire una persona senza insistere un attimo, quasi come se lo scortassero, non lo so, l'ho trovato un po' forzato. Comunque sia, ora Sons of Anarchy è finito. Niente più Charlie Hunnam con il suo bel culetto e niente più motociclisti o perlomeno fino all'arrivo di "The First 9", la serie prequel di SOA, che dovrebbe avere come protagonisti i membri fondatori dei SAMCRO, in primis JT, il papà di Jax.

Sons of Anarchy è uno di quei telefilm che fanno fatica ad entrarti dentro e quando ci riesce, poi si trasforma in una vera e propria droga. Ora che è finito, penso che per gli "addicted" servirà un gruppo di mutuo aiuto com'era successo già con Breaking Bad. Nell'attesa, dovrò recuperare un'altra serie della mia lista per sviluppare una nuova dipendenza. Stay tuned.



martedì 4 novembre 2014

I film e le moto


Per tutti gli appassionati di due ruote, il mese di novembre coincide con EICMA, il più grande salone internazionale della moto al mondo, che, giunto alla sua centesima (!) edizione, anche quest’anno ritorna alla fiera di Milano.
Mm, ok, cosa c’entra questo con il cinema? Cosa ce ne frega a noi dell’EICMA? Niente a dire al vero, solo che da appassionata di due ruote, in occasione del suo inizio, così come avevo fatto per la settimana della moda, voglio rispolverare quelle pellicole "motociclistiche". Di film con le moto protagoniste ce ne sono veramente pochi: spesso vengono usate per definire meglio un personaggio, magari per conferirgli quell’aria da bad boy e figo, o per rendere particolarmente significativa una scena d’azione, mentre ben più  raramente sono al centro della storia. Ma partiamo con i titoli:


Born to be wiiiiillld…

- Easy Rider: apoteosi dei film motociclistici, forse il cult assoluto per ogni riders che si rispetti. In questa pellicola, diretta e interpretata da Dennis Hopper, c’era tutto ciò che caratterizzava quell’epoca: la psichedelia, il senso di libertà, il viaggio, la scoperta, l’amicizia, le droghe. Tutto questo contrapposto al moralismo e alla chiusura mentale. Temi ancora purtroppo troppo attuali. 





 
- Il selvaggio: altro cult motociclistico per antonomasia. Forse uno dei primi film a lanciare veramente una moda, uno stile, con tutti che cominciarono ad andare in giro con chiodi e cappelli manco fossero Marlon Brando. Viene al meglio rappresentata l’immagine del
motociclista rude e macho: un brutto personaggio, assolutamente poco raccomandabile e per questo irresistibile, perlomeno per il gentil sesso.
Memorabile è la gita notturna in moto con Marlon Brando e la protagonista femminile.




- Quadrophenia: film ispirato all’omonimo album degli Who, che poi sono stati anche i produttori. Ambientato nell’Inghilterra degli anni ’60, seguiamo le vicende del suo giovane protagonista appartenente ai mods, un gruppo di fighetti vestiti alla moda, che vanno in giro con Vespe e Lambrette. Ai mods si contrappongono i rockers, motociclisti, il cui stile ricorda molto quello del Selvaggio. La rivalità culminerà con la battaglia di Brighton, che ha avuto luogo anche nella realtà. Quadrophenia è un film di formazione, dove le due ruote rappresentano l'oggetto che definisce il gruppo di appartenenza e non di meno lo stile da rispettare.  



 
- On Any Sunday: il primo documentario che racconta chiaramente la passione per le due ruote diretto da Bruce Brown e candidato agli Oscar. Il regista non mostra solo il mondo delle gare e lo spettacolo che ne consegue, ma soprattutto descrive le sensazioni che il stare su una sella comporta. Memorabile la scena finale, in cui Steve McQueen e soci corrono per le dune di una spiaggia divertendosi come matti. È in uscita dal 5 al 7 novembre il suo “sequel”, la cui recensione potete leggere in anteprima qui (http://cinefilamanontroppo.blogspot.it/2014/10/on-any-sunday-next-chapter.html)






 
- Garden State: altro film dove la moto non è particolarmente presente o importante, ma è un dettaglio molto simpatico. Il protagonista riceve in eredità dal nonno una vecchia moto con tanto di sidecar e gira per il New Jersey con i suoi due amici su questo sgangherato mezzo. Questa immagine è forse una delle più rappresentative del film, rendendo quei personaggi complessi e buffi indimenticabili. Il film nel corso degli anni è diventato un piccolo cult indie. E' l’opera prima di Zach Braff, il mitico JD di Scrubs. Memorabile la scena in cui Natalie Portman dice che il salire sul sidecar ti rende automaticamente una puttanella. 







- Come farsi lasciare in dieci giorni: maschi non me ne vogliate, ma in questa commedia romantica, il protagonista maschile, un Matthew McCounaghey ancora noto per fare film di m…., girava per Manhattan con la sua Triumph (Bonneville). Il possedere una moto aggiungeva qualcosa al suo personaggio, lo rendeva più “figo”, più particolare, più uomo.  Sicuramente se avesse guidato una Prius o una Mustang non avrebbe fatto lo stesso effetto. Divertente la scena in cui la coprotagonista, Kate Hudson, ci rimane malissimo nell’apprendere che deve salire sulla moto e mettersi il casco, rovinandosi così trucco e 
 parrucco. Una commedia romantica simpatica e abbastanza frizzante.






- 3 all’improvviso: anche in questo caso, non me ne vogliano i maschi, ma evidentemente per delineare il personaggio maschile stronzo, macho e con un cuore in una commedia romantica, gli devono dare una motocicletta. Anche in questo caso, trattasi di una Triumph Scrambler
. Il protagonista è quel gran figaccione di Josh Duhamel, che interpreta appunto il bello, stronzo ma con un cuore. Ama la sua moto e, inoltre, gira sempre con giubbotto di pelle Dainese, alla faccia del product placement. Divertente la scena in cui la coprotagonista Katherine Heigle (quando ancora qualcuno se la cagava) prova a guidare la moto e la lancia contro il muro spazzandogli il cuore. In realtà il film è semplicemente carino, ma sono rimasta colpita dai dettagli "motociclistici".






- Closer to the edge: documentario sul TT, il tourist trophy dell’Isola di Mann. Si tratta di una competizione che si tiene a giugno, in cui dei piloti sfrecciano per le strade di questa graziosa e tranquilla isola a velocità folli. Dicasi gara su strada. Ogni anno ci scappa il morto (chissà perché), ma si continua a fare, essendo un evento di portata storica per gli inglesi e anche per molti europei. Qui seguiamo la preparazione di alcuni piloti, in particolare di Guy Martin, una piccola celebrity nel mondo motociclistico, per il suo essere assolutamente fuori di melone.  Amico di Valentino Rossi, ha una parlata talmente strana per cui lo si ama o lo si odia.







- Fastest: documentario sulla Moto GP, narrato in versione originale da Ewan McGregor, colui che ha anche fatto il giro del mondo in moto. Comunque sia, qui vediamo un po' cosa c'è dietro il campionato della classe regina. Conosciamo i suoi protagonisti come Rossi, Lorenzo, Biagi e ascoltiamo le loro testimonianze, preoccupazione. Un bel documentario per gli appassionati. 









- I diari della motocicletta: il film parla del viaggio avventuroso nell’American latina di Ernesto Guevara, il futuro Che, aspirante medico, e del suo amico Alberto Granado, anch’egli medico. Per gran parte del tempo, i due macinano chilometri su chilometri a bordo della mitica Poderosa, una Norton, che purtroppo ad un certo punto li abbandona. Il film in realtà non è tanto “motociclistico”, si parla soprattutto degli episodi che hanno fatto diventare Guevara il personaggio storico che tutti noi conosciamo, ma è bello l’attaccamento e l’affetto che i due amici hanno per questa moto, che per un tratto è un po’ il terzo protagonista.





 
riding through this world... all alone...
- Sons of Anarchy: siamo territorio seriale, si tratta forse del serial più famoso con le due ruote. Le vicende girano attorno ai SAMCRO, un MC californiano che si dà allo spaccio di armi e agli omicidi con la stessa naturalezza con cui un bancario ti cambia del denaro. Ovviamente le moto sono Harley e ovviamente i protagonisti vanno in giro col giubbetto distintivo. Si tratta di un’opera mastodontica e molto ambiziosa, che ricalca a grandi linee l’Amleto di Shakespeare. Negli States è in onda la sua ultima stagione.







- La grande fuga: la scena cult del film è la fuga di Steve McQueen a bordo di una Triumph camuffata come moto nazista e il suo salto nel tentativo di raggiungere la Svizzera. Solo per questo merita una menzione in questo elenco.










- Matrix saga: è forse il film-progetto che ha più rivoluzionato il cinema negli anni ’90. Un capolavoro di fantascienza con scene memorabili che ancora oggi fanno parte dell’immaginario collettivo e che sono state a loro modo omaggiate in tanti film comici come Shrek e Scary Movie. Io a dire il vero non sono mai stata una grande appassionata della saga, ma ho particolarmente apprezzato la scena in cui Trinity sfreccia in autostrada su una Ducati. Sempre lo stesso personaggio, inoltre,
guida una Triumph (Speed Triple).




 
- Mission Impossible 2: forse uno dei capitoli migliori della saga con Ethan Hunt-Tom Cruise. Ovviamente i motori in questi film hanno un ruolo fondamentale, basti pensare che è notizia di qualche giorno fa il numero spropositato di BMW distrutte per girare una scena del quinto episodio. Ma noi parliamo di moto e del secondo capitolo in cui assistiamo ad un inseguimento stile far west dove al posto dei cavalli ci sono due Triumph, una Speed Triple e una Daytona.









- Indian: biopic su Burt Munro, che nel 1920 dalla Nuova Zelanda raggiunse gli Stati Uniti per disputare la Bonneville Speedway, la leggendaria gara sulla distesa salata dello Utah. Film abbastanza classico, piacevole nella visione e con Anthony Hopkins bravo come al solito. Ha il pregio di mettere la moto al centro della pellicola, non solo l’aspetto tecnico ma anche la filosofia che circonda il mondo delle due ruote.







 
- Mammut: film francese con Gerard Depardieu, dove il gigantesco attore interpreta un perdente che riprende la sua vecchia moto, la Mammut del titolo, e ritorna nei luoghi della sua gioventù, tra ricordi di amori finiti tragicamente e lavori passati. Film un po’ lento, ma con un protagonista straordinario.






Ci sono anche dei film molto più trash dove al centro ci sono le moto: Torque è forse la pellicola che viene subito in mente quando si pensa alle moto. Non l’ho mai visto interamente,  troppo trash e troppo improbabile.
Un altro film che rientra nella categoria trash è Ghost Rider, una creazione Marvel, dove al posto del solito supereroe, c’è un motociclista campione di free style che fa un patto con il diavolo per mandare all’inferno i cattivi. La sua Harley diventa infuocata con teschi ovunque e lui stesso diventa uno scheletro infuocato con tanto di frusta. Potevano farne un bel film ma scegliendo Nicholas Cage come protagonista si sbaglia a priori. Peccato.

venerdì 31 ottobre 2014

Halloween night

Quando ero piccola ero triste perchè in Italia non si festeggiava Halloween, adesso mi lamento perchè è diventata una festa troppo mainstream.
Per chi è old school e predilige una serata casalinga all'insegna dei film horror, ecco il mio personale elenco:



- Halloween: vuoi non cominciare la lista con questo film? Non ho visto tutti gli episodi, solo il primo che ha lanciato Jamie Lee Curtis e quello dell'anniversario con degli allora esordienti Michelle Williams e Josh Hartnett. Diretto da Wes Craven, è stato uno dei primi horror ad avere un killer seriale, una sorta di marchio di fabbrica del regista. In questo caso si trattava del famigerato Micheal Myers. Una curiosità da sapere è che la famosa maschera s'ispira al volto del capitano Kirk di Star Trek. Da vedere assolutamente. Paura: 6. Qualità: 7.





- Nightmare: altro horror con killer e quindi creazione di Wes Craven. Questa volta l'assassino tormenta i sogni dei poveri innocenti di Springwood, uccidendoli così nel sonno. Lui si chiama Freddy Krueger e ar
cinoti sono i suoi artigli. Anche questo film è diventato una vera e propria saga con una serie di sequel. Tra gli attori un esordiente Johnny Depp. Paura: 7. Qualità: 7.



- Scream: la saga horror degli anni '90 per eccellenza. Il film che ha un po' rivoluzionato il mondo dell'horror. Lo stampo era quello di Nightmare, con il serial killer che va in giro ad uccidere gente, ma Scream aveva un qualcosa in più: il citazionismo. Il film e poi anche la saga è sì un horror ma presenta anche un aspetto più leggero con battute divertenti che si riferiscono alla società, cosa che va di moda ancora adesso e che ha fatto fare fortuna ad un sacco di comici americani. Questa fortunata miscela è stata merito di Kevin Williamson, autore poi di Dawson's Creek dov'era comunque presente la stessa formula citazionistica, salvo l'aspetto horror.  Paura: 7. Qualità: 8.




- L'esorcismo di Emily Rose: dagli anni 2000 in poi, c'è stato uno shift nei film horror. Basta serial killer e più demoni. Ovviamente tutti ispirati a storie realmente accadute.http://cinefilamanontroppo.blogspot.it/2014/09/liberaci-dal-male.html). Perfetta miscela tra legal thriller e horror, con attori di un certo calibro (Laura Linney e Tom Wilkinson). Secondo me uno dei miglior horror degli ultimi anni. Paura: 8. Qualità: 7.
Emily Rose è forse uno degli horror che più mi ha terrorizzata (avevo già spiegato il motivo qui




- The Ring: quando lavo i capelli, assomiglio molto a Samara, la bambina assassina che esce dallo schermo e fa fuori chiunque veda quella stramaledetta cassetta entro sette giorni
. Naomi Watts è la protagonista della trasposizione americana dell'horror giapponese e anche se la paura non è tanta, si tratta comunque di un bel film. Paura: 6. Qualità: 7





- Paranormal Activity: avevo già detto che sono una persona molto suggestionabile e i primi due film di Oren Peli mi hanno alquanto terrorizzata. Qui c'è tutta una storia incasinata dietro, a cui ho smesso di interessarmene nel terzo film. Non dei capolavori, ma per le menti facili come la mia, lo spavento è assicurato. Paura: 8. Qualità: 6.





- The Others: non un horror classico, potremmo definirlo un thriller psicologico. Il regista è lo spagnolo Alejandro Amenabar e la protagonista una Nicole Kidman in stato di grazia. Grandissimo film dalle atmosfere inquietanti che ricordano tanto la pianura padana in autunno, ha uno dei finali più sorprendenti e fatti meglio degli ultimi anni. Paura: 7. Qualità: 9.




- La notte dei morti viventi: a me gli zombie fanno paura. Spesso ho incubi dove cerco di scappare da loro e non è mai piacevole. Di conseguenza, quando si tratta di guardare un film con gli zombie scatta in me il meccanismo di attrazione-repulsione. Io qui parlo del primo film di Romero, quello col finale super deprimente. I suoi film in realtà sono tutti molto ben fatti, ma purtroppo ha diffuso la moda di questi mostri che stanno rompendo quasi come i vampiri. Paura: 8. Qualità: 8.





- La notte dei morti dementi: cult assoluto, parodia paurosa del capolavoro di Romero. Una personale reinterpretazione di Ed Wright, che insieme ai protagonisti Simon Pegg e Nick Frost, ha ideato la trilogia del cornetto, di cui questo è il primo capitolo. Esilarante e geniale, non mi stanco mai di vederlo. Paura: 6. Qualità: 8.




- La Casa: altro grande maestro dell'horror è Sam Raimi, quello noto anche come il regista di Spiderman, quello bello. E' stato il primo a inserire la variabile umoristica nei suoi film soprattutto con il cult L'armata delle tenebre, sempre con il suo attore feticcio Bruce Campbell. Alla produzione di questo film parteciparono degli allora giovanissimi Ethan e Joel Cohen. Paura: 7. Qualità: 7.




 - Cabin in the woods: altro film dove un gruppo di amici decide di passare qualche giorno in un'isolata casa di montagna. Qui c'è lo zampino di Joss Whedon e oltretutto siamo nell'era post-Lost e in questa pellicola le influenze si vedono eccome. Film abbastanza folle e visionario ma veramente niente male. Tra i protagonisti un allora esordiente Chris Hemsworth che avrebbe poi reincontrato Whedon per The Avengers. Paura: 7. Qualità: 7.




- Cabin Fever: cosa avranno mai le baite isolate di montagna? Mistero. Anche qui un gruppo di amici vuole concedersi un po' di relax e le cose vanno inesorabilmente a puttane. Qui non ci sono demoni o maniaci, ma un assassino molto più subdolo: un virus misterioso. Gli amici cadono come foglie uno dopo l'altro in modo alquanto spietato. Il film è l'esordio alla regia di Eli Roth, quello di The Hostel, nonchè amicone di Tarantino, che lo ha anche voluto come bastardo, in Bastardi senza gloria. Paura: 7. Qualità: 6.




- Dracula di Bram Stoker: di film su Dracula ce ne sono a iosa. Io onestamente considero solo quello di Francis Ford Coppola con un grandissimo Gary Oldman nei panni di Vlad l'impalatore. Mio padre me lo fece vedere quando ero ancora bambina e ai tempi avevo provato terrore e confusione. Adesso è uno dei miei horror preferiti. Tutto è perfetto: dai costumi, al trucco, alla scenografia. Peccato solo per Keanu Reeves. Paura: 6. Qualità: 9.